CRESCITA PERSONALE: ARTICOLI
Mi ricordo di una bella canzone del 1968 di Joe South intitolata: "Games people play"
(I giochi che le persone giocano), che si riferiva al fatto che la
maggior parte delle persone creano fra loro relazioni false e ipocrite,
caratterizzate da copioni psicologici predefiniti che assomigliano piu'
a delle rappresentazioni teatrali recitate compulsivamente e con poca o
nessuna consapevolezza.
Ripenso spesso a quella canzone, perche'
anche nella mia vita mi e' capitato spesso, senza rendermene conto, di
giocare con le persone. Il mio gioco preferito era il "Si', ma...", un
gioco che mi aiutava a mantenermi ben saldo nella mia posizione e che
poteva tradursi in una frase del tipo: "Nessuno e' in grado di dirmi
quel che devo fare". Il mio modo di relazionarmi con gli altri era
centrato quasi esclusivamente su domande nelle quali chiedevo loro di
indicarmi una soluzione ai grossi problemi esistenziali che mi
affliggevano. Andavo in cerca di consigli a destra e a manca, da amici
e maestri, ma poi puntualmente respingevo ogni suggerimento.
Le
persone che si lasciavano agganciare si prodigavano nel darmi mille
consigli e suggerimenti, ma io, costantemente, bocciavo qualsiasi
soluzione con il fatidico: "Si', ottima idea, ma...", che facevo
seguire
da un valido ragionamento che spiegava il perche' quel consiglio non mi
era utile. Il gioco finiva quando tutti coloro che si erano affannati a
pensare ad ogni genere di consigli, gettavano la spugna dichiarandosi
incapaci di trovare una soluzione.
Ho cercato di indagare da dove
potesse aver avuto origine questo mio assurdo atteggiamento e ho
scoperto che nella mia infanzia, i miei genitori, non avevano mai dato
risposte ai miei perche', e di conseguenza avevo sviluppato da una
parte
un atteggiamento di autosufficienza e dall'altro una celata ostilita'
verso chi affermava di avere una soluzione. Con l'atteggiamento di
respingere o di bocciare ogni consiglio da parte degli altri, non
facevo nient'altro che confermare che i miei genitori non potevano
dirmi nulla. Per risalire all'origine dei miei giochi di relazione ho
seguito (e uso tuttora) un metodo che ho appreso nei gruppi di
"Liberazione Bioenergetica" che funziona più o meno cosi', mi isolo in
stanza di casa e comincio a chiedermi: "Che cosa succede nel mio corpo
quando qualcuno cerca di aiutarmi o di consigliarmi?" "Che sentimento
provo?" "Quando mi sono sentito cosi' in passato?".
Questo metodo con me ha sempre funzionato, anche se a volte la risposta
non arriva subito.
Tempo
fa, in un gruppo di "Liberazione Bioenergetica" ho conosciuto una
ragazza che sosteneva di avere una situazione famigliare drammatica,
una madre che la odiava e la maltrattava, una sorella gelosissima
sempre pronta a ferirla, e un padre che pur essendo d'animo buono
osservava indifferente e non prendeva nessuna posizione. Questa povera
ragazza continuava a dire che non ne poteva piu' di vivere in una
famiglia simile e di sperare unicamente che le si presentasse
un'occasione per scappare via di casa. Per mesi e mesi, ogni volta che
le era data la possibilita' di raccontare gli sviluppi della sua
storia,
riusciva a commuovere tutti con la descrizione dei terribili misfatti
che sua madre, sua sorella e suo padre perpetuavano nei suoi confronti.
Molti nel gruppo, indignati nel sentire tutto cio' che lei doveva
subire, la spronavano ad andarsene subito, addirittura qualcuno si era
offerto di ospitarla a casa sua finche non avesse trovato un lavoro e
una nuova sistemazione. Ciononostante questa ragazza continuava a
rimanere con la sua famiglia e a dire che presto avrebbe trovato il
coraggio di andarsene. Ad un certo punto non venne piu' in gruppo,
tutti
i suoi compagni ovviamente pensarono che questa assenza doveva
significare che lei finalmente aveva preso la decisione di andarsene
dalla casa dei suoi genitori per andare a vivere con il suo ragazzo o
per conto suo. Ma qualcuno che conosceva molto bene questa ragazza e la
sua famiglia, mi disse che non c'era assolutamente nulla di drammatico
nella sua vita, nessuna madre odiosa, nessuna sorella terribile, nessun
padre assente, ma che queste erano storie che lei si inventava
sistematicamente. Il raccontare disavventure incredibili, sofferenze
indicibili, traumi infantili che l'avevano segnata profondamente, o di
amori finiti tragicamente era un suo gioco preferito che giocava con
tutti.
In questo caso, lo sbaglio mio, e di quasi tutti i
partecipanti a quel gruppo era stato quello di dare per scontato che il
racconto della ragazza corrispondesse a una realta'. Che tutti i
cosiddetti traumi, che stavano alla radice della sua insoddisfazione,
fossero episodi reali e non invenzioni che la ragazza usava per salvare
la propria stima di se. Non è mai stato possibile dimostrare se questi
traumi esistessero veramente o se fossero una falsificazione. Certo e'
che spesso i nostri traumi sono delle bugie alle quali ci si attacca
per giustificare la propria non disponibilita' a crescere. Molte
metodologie incoraggiano questo stato infantile affermando che le
uniche responsabili dei nostri problemi sono le esperienze del passato.
Il
responsabile non e' la persona... no, responsabile e' il trauma, o il
complesso di Edipo, e via dicendo. Non c'è da stupirsi allora che la
strada proposta da certe psicoterapie analitiche che invitano a
scavare, a scavare per scoprire perche' noi siamo diventati quello che
siamo, non porti mai ne ad una reale maturazione ne ad un'apertura
reale della persona. Maturare infatti significa assumersi la
responsabilità della propria vita, e finche' non si è disposti a cio'
si
continuera' a dare la colpa di tutto all'educazione, ai genitori,
all'ambiente, alla societa' e così via. Se non si ' disposti a
rinunciare alla guerra contro il mondo intero, si continuera' a
rimanere
come bambini.
Franco Gaspari
Permettersi di essere liberi
Uno dei piu' geniali allievi di Wilhelm Reich, Fritz
Perls (fondatore
della Gestalt Therapy), sosteneva che la maggior parte delle persone,
trascorrono, in modo piu' o meno cosciente, tutta la loro vita
continuando a recitare, come attori su un palcoscenico, inventando
ruoli e copioni, per esibirsi su differenti teatri e per pubblici
diversi.
Sempre secondo Perls, tanto per complicare le cose, ognuno
di noi ha due palcoscenici: uno privato e uno pubblico. Nel
palcoscenico privato, nel segreto dei nostri pensieri, impieghiamo la
gran parte delle nostre energie per fare prove su prove, per prepararci
al tipo di spettacolo che vogliamo recitare nella vita di tutti i
giorni, a casa, nelle riunioni fra amici, nel posto di lavoro, in
ufficio, in fabbrica, ecc. Poi dopo decine e decine di prove private,
quando ci sentiamo allenati abbastanza, siamo pronti per l'esebizione
in pubblico.
A malincuore, devo ammettere che Perls aveva ragione,
mi sono reso conto in anni di lavoro e di ricerca personale che e'
proprio così, recitiamo, recitiamo sempre, a seconda del caso, della
circostanza, dell'ambiente o dei nostri interlocutori, adottiamo un
diverso personaggio, una maschera, una "corazza". Questo "copione
psicologico" e' un programma di vita, e' un vera e propria commedia a
puntate, che ognuno di noi recita compulsivamente, solitamente con poca
o nessuna coscienza.
La compulsione, la spinta a comportarsi in un
certo modo, ha radici nella nostra infanzia, nelle vicende famigliari
che hanno segnato piu' o meno profondamente le nostre prime esperienze
di vita.
Nella mia esperienza, mi sono reso conto che sono veramente
molto poche le persone fortunate che riescono a raggiungere la
consapevolezza, l'onesta', la creativita' e l'intimita'. Le restanti
considerano i loro simili solamente come oggetti da manipolare, che
devono essere sollecitati, persuasi, sedotti, corrotti o costretti ad
interpretare i ruoli piu' adatti a rafforzare la loro posizione di
protagonisti.
Gli sforzi di chi non si accontenta di ridurre la
propria vita ad una commedia, dovrebbero passare attraverso la
ri-conquista di un maggiore livello di coscienza, di un certo grado di
autenticita' e di spontaneita', unitamente alla capacita' di aprirsi al
sentire e all'espressione delle proprie emozioni e dei propri
sentimenti più veri. Ci vuole coraggio e determinazione per perseguire
un simile obiettivo, ma non il coraggio di chi sopraffa' gli altri, per
arrivare primo alla cima; ma quel tipo di volonta' che si sviluppa
quando si desidera sentirsi in sintonia con la vita.
Sono convinto
che non esistano delle particolari strategie per crescere e che
l'esperienza sia la nostra sola e unica maestra. Non mi riferisco
ovviamente all'esperienza così come e' intesa comunemente, cioe' a
quell'agire fatto di abitudini ripetute che portano s' ad imparare
qualcosa di nuovo, ma non a comprenderne il significato, e che rende le
persone piu' o meno simili a degli automi. Questo tipo di esperienza e'
caratteristica di chi ha perduto il "sentire", di chi non e' piu' in
contatto con il proprio corpo. Sto parlando dell'esperienza nella quale
mi lascio coinvolgere con tutto i miei sensi, quando apro gli occhi,
percepisco, mi rendo conto di quel che mi sta succedendo, e non solo
imparo, ma anche "scopro" qualcosa.
Non si possono fare esperienze
di questo tipo senza entrare nel corpo, nelle emozioni, e nell'ordine
d'idee di voler realmente capire che cos'e' un processo di crescita e
di
maturazione personale. Occorre lavorare con i nostri meccanismi di
difesa, con le nostre resistenze caratteriali. Abbiamo bisogno di
rivelare i nostri segreti, di confidare le nostre fantasie, di
smetterla di difendere tenacemente il nostro passato o di mascherare i
nostri sentimenti e le nostre emozioni. C'e' un solo grosso
inconveniente: "la paura". La paura che, perdendo quelle difese, si
possa scoprire di non essere stati amati.
In conclusione, secondo
me, gli strumenti migliori per crescere, quegli strumenti che anch'io
ho dovuto imparare ad usare e che cerco di impiegare il più possibile,
sono: l'amore per se stessi, l'amore per la natura, per il corpo, per
il movimento, per l'energia vitale. Sperimentare tutto quello che non
abbiamo potuto fare da piccoli, correre, saltare, sudare, gridare,
rischiare, trasgredire, emozionarsi, in quattro parole: "permettersi di
essere liberi".
Franco Gaspari
Il corpo parla?
Nel
corso di tutta la nostra vita, creiamo costantemente tensioni, blocchi,
contrazioni e zone rigide, che ostacolano la libera circolazione
dell'energia vitale nel corpo. Forse non tutti sanno che i blocchi e le
tensioni, dicono molto sul nostro carattere, sono un indice chiaro di
chi siamo, di che cosa vogliamo e del "gioco che stiamo giocando" nella
vita. Rivelano la nostra energia e vitalita', rivelano come affrontiamo
l'ambiente, come ci mettiamo in contatto con gli altri e il rapporto
che abbiamo con il nostro stesso corpo.
Generalmente non siamo molto
consapevoli delle nostre tensioni e prestiamo poca attenzione anche a
quelle degli altri, di fatto non siamo abituati a questo genere di
osservazioni. Se imparassimo ad essere un po' più attenti al nostro
corpo, ai nostri comportamenti, ai movimenti e alle posizioni che
assumiamo, potremmo, come affermava Wilhelm Reich, conoscere tutta la
nostra storia, cosi' come si e' registrata nel corpo.
Il nostro corpo e' con noi da sempre, dal primo istante di vita fino
all'ultimo e ha
vissuto le nostre stesse esperienze, sia le quelle positive che le
negative, perche' noi e il nostro corpo siamo la stessa cosa.
Nei
nostri gruppi d'incontro di "Liberazione Bioenergetica"
propongo spesso ai partecipanti un gioco di questo tipo: per un'ora
intera tutti sono invitati a comunicare con i loro compagni, senza
usare le parole (ne parlate, ne scritte).
Generalmente e' un'esperienza unica e liberatoria, perche' si e'
veramente costretti a lasciar parlare il proprio corpo.
Dopo
qualche minuto di imbarazzo, alcuni quando incontrano un compagno di
gruppo, cominciano a gesticolare nel tentativo di farsi capire, altri
danno libero sfogo alla loro creativita' danzando, saltellando,
mimando,
qualcuno aprofitta della situazione per fare boccacce, smorfie o
gestacci; ma c'e' anche chi semplicemente sente il bisogno di
abbracciare, di accarezzare o di guardare negli occhi in modo
significativo.
Questo gioco, alla fine si rivela anche un'esperienza
molto salutare, perche' oltre a parlare con il corpo (mentre con le
parole si puo' ingannare, con il corpo e' molto difficile mentire),
incoraggia a lasciar cadere l'autocontrollo, le inibizioni e le
maschere sociali.
Consiglio a tutti di provare, almeno una volta, a
fare questo gioco con il proprio partner, sono sicuro che si rivelera'
un modo simpatico per imparare a conoscere meglio se stessi e l'altro.
Franco
Gaspari